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La deriva pecoreccia di Luciana Littizzetto

24 Gennaio 2012 , Scritto da claudio Con tag #Senza categoria

Il mio articolo sul quotidiano Libero di oggi: Facciamo un esperimento. Io riporto qui di seguito degli stralci (testuali) di un monologo comico andato in onda domenica sera in un noto programma televisivo, e il lettore deve indovinare chi è l'autore di questo aulico siparietto. "Io non ne posso più di sentir parlare della Concordia… per me le poppe sono le tette e la pompa di sentina mi fa venire in mente brutte immagini.Bossi e Maroni hanno fatto pace, tant'è che Bossi ha sparato un rutto che l'ha spettinato. Nel giramento di palle Monti è un tecnico, gli girano regolari come i cavalli di Lipsia, una parte va su e una va giù, le balle gli vorticano come i pistoni di una Mercedes , vedi solo un leggero increspare del pantalone. E infatti deve fare il pitstop perchè gli partono due balle alla settimana. Victoria Beckham, la moglie del calciatore, quello col pandoro Paluani lì , come rimedio antietà usa la merda di colibrì. Ma perchè non può far bene quella delle vacche, che ne fanno una carrettata, che con una vacca ben ispirata riempi una profumeria? E poi hai voglia a dire ne basta un'unghia, un'unghia di merda di colibrì saranno sedicimila merde di uccello. Demi Moore per ringiovanire si fa mettere le sanguisughe sul viso. Demi Moore, perchè non ti fai mettere un ‘alveare nel culo?". So che la prima risposta che viene in mente è "Sono chiaramente i passi più toccanti dello scambio epistolare tra Abelardo ad Eloisa", seguita dal dubbio divorante che si tratti invece del monologo finale di Re Lear. ( e il fatto che Demi Moore sia più o meno contemporanea di Shakspeare avvalora la seconda tesi, in effetti) E invece, caro il mio lettore, mi duole dirlo, ma cotanto magniloquente lirismo è stato profuso nell'arco di dodici minuti di sobria comicità dalla regina della metafora soffusa Luciana Littizzetto nel suo consueto spazio all'interno di "Che tempo che fa". Per quei pochi che non sapessero in cosa consistono i suoi dodici minuti in quel programma, potrei riassumerli più o meno così: la Littizzetto, chiamata a fare da contraltare al proverbiale buonismo di Fazio, irrompe in studio e si siede accanto al conduttore. Ora, a dire "si siede" sono anche piuttosto generosa, perchè la Littizzetto non si siede. Si sdraia, spalanca le gambe, scalcia con la gonna ad altezza ombelico e fa sforbiciate che manco una ginnasta russa alla semifinale olimpica. E ovviamente, mostra le mutande alla nazione con rara magnanimità. Ovviamente, siccome la mutanda della Littizzetto smuove l'ormone quanto un Borghezio in guepiere Victoria's secret, nessuno la invita a mettersi un pantalone. Tanto Lucianina, come la chiama il suo finto domatore, è irriverente, mica volgare. E' un simpatico folletto, una disturbatrice, un saltimbanco, la scheggia impazziata, l'elemento dissacratorio. Mica è una donna. Mica è la sua Jolanda, per utilizzare una terminologia a lei cara, quella di cui ormai conosciamo segreti e anfratti grazie alle sue pose da contorsionista kazaka, noi telespettatori. E ‘ un semplice, anonimo, asessuato strumento a servizio della sua irriverenza. E lo stesso vale per linguaggio e contenuti. Che su per giù sono stati, nell'ultimo anno solare, i seguenti: pustole, preservativi, gli assorbenti con le ali, il codice iban che è più lungo di molti piselli, la rivergination, il cagotto, l'alito pesante, la puzza di piedi, le flatulenze in tutte le possibili varianti, l'asse del water, la coppetta mestruale e la supposta effervescente. Ma tanto Lucianina è irriverente, mica volgare. A lei si perdona tutto. E se provi a dire che se a lei preoccupano le chiacchiere da salotto sulla deriva del Concordia, a te preoccupa di più la deriva pecoreccia dei suoi siparietti, sei tu quello che non capisce il potere dissacrante e catartico della battuta, che non recepisci il valore della risata come slancio vitale, che non sai nulla di paradossi, freddure, doppi sensi e anticlimax. Insomma, per dirla alla Littizzetto, sei tu quello che in fatto di comicità non capisce una beata minchia. E non è volgarità. E' irriverenza.

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